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Il Regolamento (UE) 2017/745 dei dispositivi medici si pone l’obiettivo di elevare gli standard di qualità e sicurezza dei prodotti. Tra gli aspetti maggiormente evidenziati nel Regolamento si trovano la biocompatibilità e la caratterizzazione chimica e fisica dei materiali. Questi elementi sono presenti anche nell’allegato I del documento, relativo ai requisiti generali di sicurezza e prestazione (Rgsp). Si tratta di un allegato fondamentale poiché, per dimostrare che un dispositivo è conforme al Regolamento, è necessario verificare di aver soddisfatto tutti i requisiti (per quelli non applicabili è richiesta una chiara giustificazione della non applicabilità). Di conseguenza, diventa centrale la scelta dei materiali e delle sostanze utilizzate in un dispositivo medico, in particolare dal punto di vista della tossicità.
Le valutazioni tossicologiche sono alla base dell’intero quadro normativo europeo in materia di sostanze chimiche, compresi i Regolamenti Reach e Clp; di regolamentazione dei biocidi, dei prodotti fitosanitari, dei cosmetici, degli alimenti; di legislazione riguardante le buone pratiche di fabbricazione per la cleaning validation e il controllo della presenza di impurezze in ambito farmaceutico, nonché in materia di regolamentazione dei dispositivi medici. Da qui la loro importanza.

La conformità dei dispositivi medici

Per dimostrare la conformità al Regolamento dei dispositivi medici il fabbricante può ricorrere ad alcune normative. Si tratta di specifiche tecniche, che in molti casi rappresentano una guida utile per progettare e valutare il proprio prodotto, ma che sono applicabili in modo volontario. Alcune di queste stesse normative sono armonizzate, quindi adottate a livello europeo. Questo significa che l’uso di tali norme conferisce presunzione di conformità ai requisiti del Regolamento. Nel contempo non si deve sottovalutare lo stato dell’arte generalmente riconosciuto, definito come l’insieme di tutti gli ultimi aggiornamenti scientifici disponibili. Questo mette in salvo le norme che periodicamente vengono sottoposte ad aggiornamento, in seguito agli aspetti sempre più restrittivi in termini di sicurezza introdotti dal Regolamento e che non sono ancora state armonizzate. In ogni caso è bene sottolineare che quello che deve essere legalmente rispettato è il Regolamento: la decisione di utilizzare o meno una norma spetta al fabbricante e non può essere imposta.

La valutazione biologica

I fabbricanti di dispositivi medici devono garantire la sicurezza dei loro dispositivi e devono ridurre al minimo i potenziali rischi (inclusi quelli biologici). La valutazione della sicurezza biologica dei dispositivi medici viene eseguita per determinare la potenziale tossicità derivante dal contatto dei materiali del dispositivo con il corpo. Questi non devono produrre effetti avversi locali o sistemici, essere cancerogeni o reprotossici. Una valutazione biologica deve essere condotta esclusivamente in linea con un processo di gestione del rischio. Si tratta di un processo continuo attraverso il quale un produttore può identificare i pericoli biologici associati al dispositivo medico, stimare e valutare i rischi, controllarli e monitorare l’efficacia del controllo.
La gestione del rischio è intesa come un processo iterativo e continuo, riguarda l’intero ciclo di vita di un dispositivo, che richiede un costante e sistematico aggiornamento.

La caratterizzazione chimica

L’attuale versione della norma sulla valutazione biologica (ISO 10993-1), evidenzia la caratterizzazione chimica come primo passo necessario per una corretta valutazione biologica. La caratterizzazione chimica si riferisce al processo di identificazione, caratterizzazione e conoscenza dei composti che possono migrare dal dispositivo medico ed essere biodisponibili per il paziente. Questi composti chimici sono spesso indicati come extractable (sostanze che potenzialmente possono migrare esponendo il materiale a condizioni esagerate o aggressive) e leachable (composti che possono potenzialmente migrare dal dispositivo in normali condizioni d’uso). Gli studi di extractable e leachable servono per studiare i componenti chimici potenzialmente rilasciati dal dispositivo medico a cui segue una valutazione del rischio tossicologico atta a consentire la valutazione della conformità per quello specifico utilizzo clinico.

Il rischio tossicologico

Esiste una norma specifica per la valutazione del rischio tossicologico di questi componenti chimici, la ISO  10993-17, il cui aggiornamento, estremamente recente, è stato pubblicato il 13 settembre 2023, a distanza di più di 20 anni dall’ultima versione. La prima differenza rispetto alla precedente versione è evidenziabile già dal titolo “Toxicological risk assessment of medical device constituents”, invece del ben noto “Establishment of allowable limits for leachable substances”. Questo cambio evidenzia il fatto che precedentemente si parlasse di valutazione del rischio solo per i componenti potenzialmente rilasciabili dal dispositivo (leachables), mentre ora si sottolinea la necessità di una valutazione del rischio tossicologico anche dei costituenti del dispositivo stesso. Lo standard include diagrammi di flusso schematici per dimostrare come la valutazione del rischio tossicologico si inserisce nel processo di gestione del rischio dei dispositivi medici e nelle attività di preparazione dei report di valutazione del rischio tossicologico.
Durante il processo di identificazione del pericolo, devono essere raccolte le informazioni tossicologiche sui costituenti chimici utilizzando più fonti, e devono essere identificati come punto di partenza (Pod) i valori, ad esempio, di No Observed Adverse Effect Level (Noael), Lowest Observed Adverse Effect Level (Loael) o benchmark dose (Bmd) derivanti da uno studio tossicologico pertinente in base all’endpoint da analizzare.
I criteri di selezione e ricerca devono essere documentati e giustificati. Devono essere valutate e stabilite l’affidabilità e la qualità dei dati. Quando le informazioni sulla tossicità della sostanza chimica non siano disponibili, può essere utilizzata per una valutazione read-across una sostanza chimica strutturalmente simile, ovvero un analogo, con adeguate informazioni sulla tossicità.

Le novità del nuovo standard

Lo standard rivisto presenta una nuova sezione sull’uso di un limite di screening tossicologico (Tsl) per i costituenti chimici che aiuta i valutatori del rischio a restringere il campo dei costituenti che richiedono una valutazione, risparmiando tempo e fatica. Inoltre, il nuovo standard fornisce criteri di accettazione del rischio per valutare il margine di sicurezza (margin of safety, MoS) per ciascun componente. Lo standard chiarisce, infine, gli scenari di rischio in cui è raccomandata una valutazione del rischio tossicologico e delinea metodi alternativi di mitigazione del potenziale danno. Dopo un’attenta caratterizzazione chimica e una valutazione del rischio tossicologico, si prosegue con la valutazione degli endpoint (e.g. irritazione; sensitizzazione; tossicità acuta) per esaminare la biocompatibilità del dispositivo.
La valutazione biologica del dispositivo medico, in modo sovrapponibile a quanto definito dallo standard di riferimento per l’analisi del rischio (ISO 14971), indica di ricorrere all’attività di testing solo se i dati e la letteratura disponibili sul dispositivo non sono sufficienti a coprire gli endpoint previsti dalla norma.
La norma introduce il piano di valutazione biologica (biological evaluation plan, Bep), ossia un insieme di attività che definiscono il profilo di biocompatibilità di un dispositivo in relazione al rischio biologico che rappresenta per l’utilizzatore finale, prendendo in considerazione tutti i dati disponibili e operando le opportune ricerche bibliografiche. Se le informazioni a disposizione sul dispositivo, con la relativa bibliografia di supporto, non sono sufficienti da sole a coprire gli endpoint indicati dalla norma, nel Bep viene proposto un opportuno piano di testing.
La produzione di un Bep robusto dal punto di vista scientifico, necessita di un team multidisciplinare con competenze e qualifiche trasversali, che comprenda sia il ramo regolatorio sia quello tossicologico.

Il Rapporto di valutazione biologica

Una volta eseguiti i test si procede con la stesura del Rapporto di valutazione biologica (biological evaluation report, Ber). Il Ber integra le considerazioni emerse nel piano (Bep) e verbalizza le conclusioni sulla biocompatibilità del dispositivo derivanti dall’esito dei test. Per condurre una buona valutazione del rischio di un dispositivo si deve procedere con uno step wise approach, si inizia con la definizione della categorizzazione, cioè con lo studio della natura e della durata del contatto del dispositivo con il corpo dell’utilizzatore. Successivamente, si procede alla caratterizzazione chimico-fisica, all’opportuna analisi della letteratura e all’eventuale conduzione di test.
Il processo di valutazione del rischio biologico non si conclude con lo sviluppo del Bep e del Ber, ma prosegue durante l’intero ciclo di vita del dispositivo, attraverso l’attività di sorveglianza post-commercializzazione. La valutazione del rischio deve, infatti, essere aggiornata sulla base delle nuove informazioni che diventano disponibili dal monitoraggio post-vendita, delle prestazioni dei dispositivi medici e della sicurezza nell’uso clinico.
In questo caso, così come per altri aspetti della documentazione tecnica (per esempio la valutazione clinica, l’analisi dei rischi, etc.), si ha un’evidenza concreta dell’importanza che i dati di utilizzo reale di un dispositivo medico hanno sul garantire che il mercato sia fornito di prodotti sicuri ed efficaci.
La documentazione tecnica di un dispositivo medico, al fine di risultare conforme alla normativa vigente, è un insieme complesso e variegato di dati che riunisce esperti di settori diversi (tossicologi, chimici analitici, regolatori, etc.). Proprio per questi aspetti è necessario mantenere le comunicazioni trasparenti e aperte tra tutte le parti coinvolte. Comprendere e implementare le nuove procedure sarà fondamentale per eseguire valutazioni del rischio tossicologico e biologico sempre più “high level”, al fine di soddisfare le richieste normative dei dispositivi medici.

Cosa è la tossicologia regolatoria

La tossicologia regolatoria è una branca particolare della tossicologia sperimentale, storicamente derivata dalla farmacologia, per lo studio degli effetti avversi degli xenobiotici, che si basa sulle richieste contenute in norme nazionali e, ormai sempre più spesso internazionali, riguardanti la sicurezza di prodotti chimici e farmaceutici. La tossicologia regolatoria, che potremmo definire una scienza applicata, ha i suoi esordi in concomitanza con il rilascio dei primi regolamenti europei sulla sicurezza chimica (Dir. ECC 67/548) e sulle norme internazionali per la messa in commercio di prodotti farmaceutici successivamente armonizzate dalle linee guida ICH (International Conference of Harmonisation). Dalla tossicologia regolatoria che si occupa dei pericoli per la salute umana deriva la scienza eco-tossicologica che si occupa invece dei pericoli per l’ambiente naturale.

 

Quali sono le finalità dell’approccio tossicologico

La finalità della valutazione tossicologica e/o eco-tossicologica è la definizione dei pericoli associati ad una determinata struttura chimica (sostanza) o miscela chimica (prodotto) e la successiva valutazione della “dose sicura” o “dose senza effetto avverso”. Sulla base di questa conoscenza si possono, a seguito, impostare le valutazioni del rischio durante l’uso di questa sostanza o miscela in un determinato scenario espositivo ed prevedere, se necessarie, misure di mitigazione dello stesso. La finalità ultima è garantire che una eventuale esposizione alla sostanza o miscela sia trascurabile e, in ogni caso, non porti ad effetti avversi sulla salute umana o per l’ambiente naturale.

 

Quali sono gli approcci utilizzati per la valutazione tossicologica

Ogni attività di valutazione tossicologica inizia da una attenta valutazione dei dati disponibili attraverso una estensiva ricerca su banche dati specifiche accompagnata da una valutazione della affidabilità del dato ottenuto. A questa fa seguito la cosiddetta “Data Gaps Analysis” che permette di valutare “cosa manca” e quali end-point sono ancora da valutare. Parte quindi la fase sperimentale con l’effettuazione di studi tossicologici ad hoc. Infine, viene redatto un Expert Report sul profilo tossicologico della sostanza o miscela oggetto di studio. Questo documento viene sottoscritto dal valutatore e dal tossicologo senior. In Chemsafe, dai nostri due ERT (European Registered Toxicologists).

 

La sperimentazione tossicologica prevede l’uso di animali, in particolare vertebrati?

Essa prevede ancora l’utilizzo di animali per alcuni end-points specifici, inclusi vertebrati, anche se da molti anni in base al Principio delle 3Rs (Replace, Reduce, Refine) molti studi sono stati sostituiti con approcci “in vitro” ed in particolare con l’approccio “in silico”. Quest’ultimo permette, attraverso l’utilizzo di metodologie struttura-attività di predire l’eventuale presenza di un effetto avverso in base alla struttura chimica della sostanza. Recentemente, molti regolamenti del settore chimico, hanno inserito l’approccio NAM (New Approach Methodologies) che integra le varie e più moderne metodologie per la valutazione del pericolo e del rischio delle sostanze chimiche limitando l’uso degli animali. La sostituzione dell’animale nella sperimentazione è un processo tuttora in corso che ci porterà ancora altre interessanti novità.

 

Come si diventa tossicologi regolatori

Non esistono scuole specifiche, se non molto di base, per diventare tossicologi regolatori. E’ necessaria una solida base scientifica e poi tanta esperienza sul campo. Il processo di “Learning by Doing” è fondamentale per raggiungere una appropriata conoscenza del settore e quindi una capacità professionale adeguata. Tale professionalità può essere raggiunta lavorando presso società di consulenza, università e/o società commerciali.

 

…in Chemsafe

La tossicologica regolatoria è la specialità che contraddistingue la nostra società rispetto ad altre. Essa, inoltre, lega come un filo rosso le attività svolte nelle nostre quattro Business Units (BU Chemical, BU Pharma, BU Medical Devices e BU Food). Riteniamo la formazione in questa disciplina un fattore irrinunciabile per i nostri collaboratori; formazione che viene svolta sia internamente (da colleghi già esperti – senior) che esternamente per argomenti più specifici (e.g. risk assessment/effect assessment, etc). La padronanza di tale disciplina si connota quindi come un patrimonio aziendale unico.

 

Se volete saperne di più non esitate a contattarci a chemsafe@chemsafe-consulting.com.

Cosa significa eseguire una valutazione di impatto ambientale dei principi attivi farmaceutici?

La valutazione di impatto ambientale dei principi attivi farmaceutici è richiesta sin dal 2006 da una specifica linea guida EMEA (ora EMA). Essa pone l’attenzione sulla verifica dell’impatto ambientale di tali principi attivi quando rilasciati dal paziente durante l’uso terapeutico. La linea guida è stata emessa in virtù di una imponente letteratura scientifica riportante casi eclatanti di impatti ambientali in alcune specie acquatiche e non solo. E’ da chiarire fin da subito che non si applica a rilasci incidentali dagli impianti produttivi dei farmaci.

 

Qual è il processo di valutazione ERA

Molto sinteticamente si tratta, in prima istanza, di calcolare semplicemente il valore della PEC (Predicted Environmental Concentration) dell’attivo oggetto dello studio e metterlo in relazione ad un valore di riferimento indicato nella linea guida. Se il valore calcolato è superiore al valore di riferimento sarà necessario proseguire con la valutazione tramite l’esecuzione di un pacchetto di studi sperimentali atto a verificare le proprietà eco-tossicologiche e di destino ambientale della sostanza al fine di determinare il pericolo intrinseco della stessa ed eseguire la valutazione del rischio.

 

Di quali studi si tratta? E’ un processo step by step?

Come detto gli studi da effettuare sono di carattere eco-tossicologico da una parte e di destino ambientale dall’altro. Si applica sempre un approccio step by step secondo il quale i risultati dei primi studi eseguiti posso indicare la necessità di eseguirne degli altri al fine di approfondire valutazioni specifiche. Per la parte eco-tossicologica si parte con studi acuti per poi eventualmente giungere a studi di durata prolungata o specifici per alcune specie (piante, alghe). Per la parte di destino ambientale si parte con la definizione “generica” del coefficiente di ripartizione ottanolo/acqua per verificare una potenzialità di bioaccumulo. Il base al risultato di questo possono essere necessari studi sperimentali più complessi di bioaccumulo, biodegradabilità, degradabilità. Ad ogni fase successiva di raccolta di sperimentali corrisponde un aggiornamento della valutazione del rischio che viene pertanto “raffinata” al progredire della sperimentazione. Studi addizionali possono sempre essere richiesti dalle Autorità Competenti nazionali se non soddisfatte dalle valutazioni presentate; a volte possono essere necessarie discussioni con le stesse per discutere un determinato approccio scientifico/sperimentale da adottare.

 

Quando finisce la valutazione del rischio ambientale?

Come detto, la valutazione ERA è un processo che ha un inizio ma potenzialmente non una fine. Questo è dovuto al fatto di dover applicare un approccio step by step, dalle eventuali richieste delle Autorità Competenti e, non da meno, da progresso tecnico-scientifico-regolatorio che impone nuove valutazioni del rischio in relazione e nuove evidenze di impatto ambientale.

 

Dal 2006 vi sono state novità regolatorie di rilievo?

La linea guida del 2006 ha adottato i principi della valutazione del pericolo e del rischio ambientale mutuandoli dai criteri in applicazione per le sostanze chimiche. Non è un caso che lo stesso anno sia stato pubblicato il Regolamento Europeo REACH che rivoluzionava in particolare proprio i criteri di valutazione del rischio nei vari scenari di uso previsti per una determinata sostanza chimica. Da quel momento qualcosa è cambiato: di rilevanza si può citare la necessità di effettuare studi sperimentali e non ricavare dati citati da fonti bibliografiche spesso poco affidabili (low reliable). La necessità di avvalersi di esperti eco-tossicologi e di valutazione del rischio ambientale è inoltre stata sottolineata da più parti.

 

Ci sono state rilevanti novità negli ultimi 3-5 anni?

Nel 2018 è stata emessa una linea guida in bozza allo scopo di aggiornare la “vecchia” linea guida del 2006. Le più rilevanti novità sono state l’introduzione della valutazione specifica degli Interferenti Endocrini (EDS= Endocrine Disrupting Substances) ed un rafforzamento della valutazione PBT (Persistenti, Bioaccumulabili, Tossici). In particolare, nel primo caso la valutazione EDS dovrà essere effettuata in parallelo alla valutazione delle proprietà eco-tossicologiche. In tal modo viene enfatizzata la necessità di tale valutazione viste le problematiche esistenti in molti farmaci (es. hormone-like) per questo end-point di sicurezza. La linea guida non ha mai visto la luce in forma definitiva probabilmente in relazione alla attuale revisione della legislazione europea per i farmaci dove per la valutazione ERA si aspettano novità rilevanti.

 

Una volta definito un ERA sono a posto?

Bisognerà sempre tenere presente il progresso scientifico che nel settore ambientale fa passi da gigante. Per questa ragione, è probabile che la nuova legislazione farmaceutica possa richiedere anche aggiornamenti dei dossier ERA in base alla disponibilità di nuovi approcci sperimentali o nuove tematiche da studiare.

 

Chemsafe, sin dal 2006, ha affrontato un notevole numero di valutazione ERA con i suoi esperti della BU Pharma. Siamo pronti ad aiutarvi nell’implementazione delle nuove richieste che verranno. Non esitate, pertanto, a contattarci presso chemsafe@chemsafe-consulting.com.

Il Regolamento EU No 178/2002, che all’inizio degli anni 2000 ha posto le prime basi verso un’armonizzazione della sicurezza alimentare all’interno dell’Unione Europea, ha inserito tra i suoi pilastri l’importanza del dato scientifico a supporto della sicurezza dei nostri alimenti.

Ogni ingrediente o alimento che noi consumiamo ha subito, in qualche momento, una valutazione (un risk assessment) di carattere scientifico che ne ha concluso la sicurezza.

Questo è soprattutto il caso di ingredienti o alimenti che sono nuovi per le nostre tavole: si distingue infatti tutto quello che è comunemente o tradizionalmente riconosciuto come alimento (per essere banali i pomodori, il pane, la pasta) il cui consumo è consolidato storicamente, da quelli che possono essere alimenti proveniente da paesi extra Europei o per esempio nuovi additivi con funzionalità tecnologiche nuove nella produzione alimentari (es. conservanti, coloranti) che invece sarebbero sostanze nuove per il consumatore europeo.

Generalmente, ad oggi, l’immissione sul mercato di qualcosa di nuovo sulle nostre tavole passa attraverso una valutazione scientifica abbastanza severa.

 

Come avviene il processo quando abbiamo un nuovo additivo che vogliamo vendere sul mercato dell’Unione, quindi?

La Commissione Europea definisce con regolamenti che chiamiamo verticali, le regole se trattiamo per esempio additivi, o aromatizzanti o enzimi o veri e propri alimenti nuovi e le “cose da fare” per l’immissione di questi sul mercato.

Il regolamento sui nuovi alimenti (novel foods) -e le sue integrazioni e linee guida- listano quali sono le informazioni da sottomettere al parere della Commissione Europea la quale chiede l’aiuto scientifico dell’Autorità della Sicurezza Alimentare (EFSA) per le valutazioni del rischio. Per

 

Cosa contiene la domanda di autorizzazione?

  1. a) il nome e il domicilio del richiedente;
  2. b) il nome e la descrizione del nuovo alimento;
  3. c) la descrizione del/i processo/i di produzione;
  4. d) la composizione dettagliata del nuovo alimento;
  5. e) prove scientifiche attestanti che il nuovo alimento non presenta rischi associati alla sicurezza per la salute umana;
  6. f) se del caso, il/i metodo/i di analisi;
  7. g) una proposta relativa alle condizioni d’uso previsto e ai requisiti specifici di etichettatura per non indurre in errore i

consumatori o una motivazione verificabile che illustri le ragioni per cui tali elementi non sono necessari.

Al punto e) troviamo la dicitura “prove scientifiche” che sottintendono informazioni in merito a

  • Valutazioni sull’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’escrezione (ADME) della sostanza/alimento
  • Informazioni nutrizionali
  • L’allergenicità
  • Le informazioni tossicologiche
  • Una valutazione globale del rischio per gli usi e ai livelli proposti

 

Le informazioni tossicologiche:

Le informazioni tossicologiche fanno riferimento agli studi in-vitro (su cellule) ed in-vivo (sugli animali) che possono essere condotti per valutare la sicurezza di una sostanza. Il settore chimico-farmaceutico fa largo utilizzo di questi studi nel definire il profilo di sicurezza delle sostanze che impiega. Il mondo alimentare ha adottato la stessa strategia e tali dati devono essere sottomessi alle autorità qualora un nuovo ingrediente voglia essere proposto ai cittadini Europei.

Qui sotto è riportata una slide estratta da una Linea Guida EFSA, dove le informazioni tossicologiche vengono descritte attraverso quello che viene definito un “Tiered approach”, ossia gli studi tossicologici devono essere condotti “a salire” in funzione della tossicità -sospettata o attesa- del prodotto in esame.

Solitamente la registrazione di un nuovo ingrediente prevede obbligatoriamente degli studi di genotossicità in-vitro e uno studio semi cronico (studio di 90 giorni), da cui viene poi estrapolata una dose sicura dello stesso.

Sulla base delle informazioni che si ottengono dagli studi, il profilo di sicurezza del nuovo alimento, nel suo uso proposto, può essere concluso.

La Business Unit Food di Chemsafe è solita trattare questi aspetti di carattere scientifico-regolatorio. In caso di domande contattateci a chemsafe@chemsafe-consulting.com

Cosa sono i OELs o Occupational Exposure Levels?

Innanzitutto, dobbiamo partire con il dire che si tratta di valori che si applicano al settore farmaceutico, in primis, ma non solo. La tutela dei lavoratori è un tema ormai diffuso in tutte le attività industriali. Dall’inglese il valore OEL non è nient’altro che un valore di esposizione giornaliera dell’operatore considerata sicura quando esposto ad una determinata sostanza negli impianti di produzione.

 

Cosa vuol dire impianti produttivi

Per impianti produttivi si intende qualsiasi impianto che utilizzi e produca sostanze chimiche e altresì miscele chimiche intese come la somma di più sostanze chimiche (formulazione). Gli operatori professionali che lavorano in tali impianti sono pertanto esposti nei vari momenti di lavorazione alle materie prime utilizzate, agli intermedi di processo e ai prodotti finali (sostanze e/o miscele) nonché ai prodotti di scarto della lavorazione.

 

Quali sono i rischi associati?

L’esposizione ad un certo agente chimico dipende innanzitutto dal tipo e durata di esposizione. Quando parliamo di tipo si intende che l’esposizione può avvenire per via dermale, orale e, nella maggior parte dei casi, per via inalatoria (respirazione da parte dell’operatore della sostanza). Quando invece di parla di durata dell’esposizione si intende una esposizione acuta (fuoriuscita accidentale di un certo quantitativo di sostanza da una porzione dell’impianto produttivi durante una certa fase della produzione) oppure prolungata. In questo secondo caso si tratta di una esposizione bassa, a volte non misurabile, ma costante all’agente chimico. La differenza tra le due sta anche nella possibilità di determinarle: nel primo caso sicuramente riscontrabile con successivi interventi correttivi; nel secondo caso, a volte, non riscontrabile e difficilmente soggetta a correzione.

 

Classi di pericolosità

E’ ormai consolidato ritenere che l’esposizione ad una determinata sostanza chimica può determinare un effetto avverso in base alle proprietà intrinseche di pericolo della sostanza stessa oltre che dalle condizioni sopra espresse (tipo e durata dell’esposizione). Vi sono sostanze che non sono formalmente classificate per la loro pericolosità e sostanze che lo sono. Ricordiamo brevemente le maggiori classi di pericolo per la salute umana: irritante (cute e occhi), sensibilizzante, tossicità acuta, tossicità cronica, mutageno, genotossico, tossico per la riproduzione, cancerogeno, interferente endocrino.

 

 

Quali conseguenze abbiamo nella vita dell’operatore?

Brevemente, in base a ciò che è stato illustrato qui sopra, le conseguenze possono essere di due tipologie: effetti acuti dovuti ad incidenti (esposizione acuta); malattie professionali dovute ad esposizione cronica.

 

… quindi veniamo al dunque!

Il produttore è pertanto obbligato ad eseguire una valutazione di carattere tossicologico delle sostanze utilizzate e prodotte durante un determinato ciclo produttivo al fine di determinarne i livelli di esposizione occupazionale.

 

Come si fa la valutazione OEL

La valutazione del profilo tossicologico di una certa sostanza viene eseguita con i metodi e gli approcci classici della tossicologica regolatoria. Una estensiva ricerca di dati viene eseguita in prima battuta al fine di raccogliere una quantità significativa di dati di sicurezza per un certo numero di end-point tossicologici come sopra descritti. Una volta ottenuti i dati si procedere con la valutazione della loro affidabilità, una sorta di scrematura in base alla loro qualità e successivamente alla identificazione dell’effetto critico cioè l’effetto più significativo che viene preso a riferimento per i successivi calcoli. La tipologia dell’effetto critico selezionato caratterizzerà il successivo approccio per il calcolo numerico del valore dell’OEL. Il metodo classico prevede l’applicazione di fattori di sicurezza sul cosiddetto “Point of Departure” (PoD), ad es. un valore di NOEL o NOAEL oppure, in alcuni casi, l’adozione di valori di sicurezza già pubblicati da Enti Regolatori noti ed universalmente accettati. Il lavoro viene descritto in un Expert Report a firma del valutatore e del Tossicologo Senior; in genere qualificato ERT (European Registered Toxicologist).

Il valore di OEL così circostanziato nell’Expert Report viene successivamente utilizzato dalle industrie per la decisione riguardante l’applicazione di misure di gestione del rischio (Risk Management Measures) che si riconducono al tema del “contenimento” tecnico della sostanza/e oggetto dell’esposizione.

 

Una volta definito il valore OEL sono a posto?

La scienza tossicologica è in continua evoluzione come altresì le norme di riferimento internazionali (Regolamenti, linee guida ICH, etc.). Tutto ciò porta ad una costante aggiornamento dei dati disponibili su determinate sostanze. Vi è pertanto una necessità di aggiornamento continuo delle valutazioni OEL in particolare quelle svolte nei primi anni di attività (2014, 2015, 2016). Si suggerisce pertanto, in alcuni casi, una attività di revisione che consiste nell’applicazione di una nuova ricerca bibliografica per la verifica della presenza di nuovi dati e, se esistenti, nella rivalutazione dell’intero approccio di calcolo.

 

Chemsafe da ormai 9 anni offre un servizio qualificato di questa attività portata avanti nella nostra BU Pharma. Sono stati emessi circa 1.000 Expert Reports.

Se volete saperne di più non esitate a contattarci a chemsafe@chemsafe-consulting.com.

Cosa sono i PDE o Permissible Daily Exposure?

Innanzitutto, dobbiamo partire con il dire che si tratta di valori che si applicano al settore farmaceutico, nello specifico proprio a livello di sito produttivo dei principi attivi.

Dall’inglese il valore PDE non è nient’altro che un valore di esposizione giornaliera considerata sicura che si applica alle sostanze negli stessi impianti di produzione.

Questo valore viene calcolato ed è necessario per la valutazione della possibile presenza, conseguente a cross-contamination negli impianti produttivi “multi-purposes” di diversi principi attivi farmaceutici.

 

Cosa vuol dire impianti produttivi “multi-purposes”?

Gli impianti produttivi farmaceutici sono messi a punto non unicamente per un singolo principio attivo ma per soddisfare la produzione di diversi principi attivi (sarebbe insostenibile altrimenti!). Per banalizzare potremmo avere un impianto che viene utilizzato per un mese per sintetizzare ibuprofene e il mese successivo paracetamolo.

 

Quali sono i rischi associati a questa operatività?

È chiaro che tra un ciclo di produzione e l’altro (cicli di produzione di principi attivi diversi) gli impianti devono essere puliti dai residui delle sostanze processate (non che dallo stesso principio attivo finale) per poter garantire che questi non contamino il prodotto successivamente sintetizzato (cross-contamination).

Seppur siano state messe a punto procedure impeccabili di lavaggio, i residui, si sa, sono difficili da eliminare e quindi contaminano inevitabilmente il prodotto successivo. Pertanto, la loro presenza deve essere valutata.

 

Quali conseguenze abbiamo nella vita vera?

Il tema è legato alla possibile esposizione del paziente in cura con un certo farmaco il cui principio attivo (A) viene prodotto a seguito di un precedente principio attivo (B) di altro farmaco. Il tenore di possibile contaminazione di (B) in (A) potrebbe determinare effetti tossicologici avversi e non desiderati nel paziente in cura con (A).

 

… quindi veniamo al dunque!

Il produttore è obbligato ad eseguire una valutazione di carattere tossicologico (pericolo e rischio) di tale potenziale contaminazione per adottare procedure di pulizia (cleaning) efficaci a dimostrare l’abbattimento (sufficiente o totale) della contaminazione del farmaco (A) oppure dimostrare l’essenza di rischio significativo di tale contaminazione.

 

Come si fa la valutazione PDE

La valutazione del profilo tossicologico di un certo principio attivo viene eseguita con i metodi e gli approcci classici della tossicologica regolatoria. Una estensiva ricerca di dati viene eseguita in prima battuta al fine di raccogliere una quantità significativa di dati di sicurezza per un certo numero di end-point tossicologici. Tra i più importanti si ricorda: la tossicità a lungo termine, la mutagenesi, la genotossicità, il carattere di cancerogenicità, la tossicità riproduttiva, il potere sensibilizzante e le proprietà di interferenza endocrina. Una volta ottenuti i dati si procedere con la valutazione della loro affidabilità, una sorta di scrematura in base alla loro qualità e successivamente alla identificazione dell’effetto critico cioè l’effetto più significativo che viene preso a riferimento per i successivi calcoli. La tipologia dell’effetto critico selezionato caratterizzerà il successivo approccio per il calcolo numerico del valore del PDE. Il metodo classico prevede l’applicazione di fattori di sicurezza sul cosiddetto “Point of Departure” (PoD), ad es. un valore di NOEL o NOAEL oppure, in alcuni casi, l’adozione di valori di sicurezza già pubblicati da Enti Regolatori noti ed universalmente accettati. Il lavoro viene descritto in un Expert Report a firma del valutatore e del Tossicologo Senior; in genere qualificato ERT (European Registered Toxicologist).

Il valore di PDE così circostanziato nell’Expert Report viene successivamente utilizzato dalle società farmaceutiche per le valutazioni di cleaning necessarie ad abbattere tale contaminazione oppure, in alcuni casi, nella decisione di adottare misure tecniche migliorative o, in casi estremi ma a volte reali, di progettare ed implementare impianti dedicati a particolari produzioni.

 

Una volta definito il valore PDE sono a posto?

La scienza tossicologica è in continua evoluzione come altresì le norme di riferimento internazionali (Regolamenti, linee guida ICH, etc.). Tutto ciò porta ad una costante aggiornamento dei dati disponibili su determinate sostanze. Vi è pertanto una necessità di aggiornamento continuo delle valutazioni PDE in particolare quelle svolte nei primi anni di attività (2014, 2015, 2016).

 

È tema attuale quindi la richiesta di aggiornamento degli Expert Report già emessi da parte delle società farmaceutiche. L’attività di revisione consiste nell’applicazione di una nuova ricerca bibliografica per la verifica della presenza di nuovi dati e, se esistenti, nella rivalutazione dell’intero approccio di calcolo. Una revisione formale dell’Expert Report viene comunque eseguita anche in assenza di nuovi dati proprio per rivalidare la precedente valutazione e renderla aggiornata.

Chemsafe da ormai 9 anni offre un servizio qualificato di questa attività portata avanti nella nostra BU Pharma. Sono stati emessi circa 2500 Expert Reports.

 

Se volete saperne di più non esitate a contattarci a chemsafe@chemsafe-consulting.com.