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Il Regolamento EU No 178/2002, che all’inizio degli anni 2000 ha posto le prime basi verso un’armonizzazione della sicurezza alimentare all’interno dell’Unione Europea, ha inserito tra i suoi pilastri l’importanza del dato scientifico a supporto della sicurezza dei nostri alimenti.

Ogni ingrediente o alimento che noi consumiamo ha subito, in qualche momento, una valutazione (un risk assessment) di carattere scientifico che ne ha concluso la sicurezza.

Questo è soprattutto il caso di ingredienti o alimenti che sono nuovi per le nostre tavole: si distingue infatti tutto quello che è comunemente o tradizionalmente riconosciuto come alimento (per essere banali i pomodori, il pane, la pasta) il cui consumo è consolidato storicamente, da quelli che possono essere alimenti proveniente da paesi extra Europei o per esempio nuovi additivi con funzionalità tecnologiche nuove nella produzione alimentari (es. conservanti, coloranti) che invece sarebbero sostanze nuove per il consumatore europeo.

Generalmente, ad oggi, l’immissione sul mercato di qualcosa di nuovo sulle nostre tavole passa attraverso una valutazione scientifica abbastanza severa.

 

Come avviene il processo quando abbiamo un nuovo additivo che vogliamo vendere sul mercato dell’Unione, quindi?

La Commissione Europea definisce con regolamenti che chiamiamo verticali, le regole se trattiamo per esempio additivi, o aromatizzanti o enzimi o veri e propri alimenti nuovi e le “cose da fare” per l’immissione di questi sul mercato.

Il regolamento sui nuovi alimenti (novel foods) -e le sue integrazioni e linee guida- listano quali sono le informazioni da sottomettere al parere della Commissione Europea la quale chiede l’aiuto scientifico dell’Autorità della Sicurezza Alimentare (EFSA) per le valutazioni del rischio. Per

 

Cosa contiene la domanda di autorizzazione?

  1. a) il nome e il domicilio del richiedente;
  2. b) il nome e la descrizione del nuovo alimento;
  3. c) la descrizione del/i processo/i di produzione;
  4. d) la composizione dettagliata del nuovo alimento;
  5. e) prove scientifiche attestanti che il nuovo alimento non presenta rischi associati alla sicurezza per la salute umana;
  6. f) se del caso, il/i metodo/i di analisi;
  7. g) una proposta relativa alle condizioni d’uso previsto e ai requisiti specifici di etichettatura per non indurre in errore i

consumatori o una motivazione verificabile che illustri le ragioni per cui tali elementi non sono necessari.

Al punto e) troviamo la dicitura “prove scientifiche” che sottintendono informazioni in merito a

  • Valutazioni sull’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’escrezione (ADME) della sostanza/alimento
  • Informazioni nutrizionali
  • L’allergenicità
  • Le informazioni tossicologiche
  • Una valutazione globale del rischio per gli usi e ai livelli proposti

 

Le informazioni tossicologiche:

Le informazioni tossicologiche fanno riferimento agli studi in-vitro (su cellule) ed in-vivo (sugli animali) che possono essere condotti per valutare la sicurezza di una sostanza. Il settore chimico-farmaceutico fa largo utilizzo di questi studi nel definire il profilo di sicurezza delle sostanze che impiega. Il mondo alimentare ha adottato la stessa strategia e tali dati devono essere sottomessi alle autorità qualora un nuovo ingrediente voglia essere proposto ai cittadini Europei.

Qui sotto è riportata una slide estratta da una Linea Guida EFSA, dove le informazioni tossicologiche vengono descritte attraverso quello che viene definito un “Tiered approach”, ossia gli studi tossicologici devono essere condotti “a salire” in funzione della tossicità -sospettata o attesa- del prodotto in esame.

Solitamente la registrazione di un nuovo ingrediente prevede obbligatoriamente degli studi di genotossicità in-vitro e uno studio semi cronico (studio di 90 giorni), da cui viene poi estrapolata una dose sicura dello stesso.

Sulla base delle informazioni che si ottengono dagli studi, il profilo di sicurezza del nuovo alimento, nel suo uso proposto, può essere concluso.

La Business Unit Food di Chemsafe è solita trattare questi aspetti di carattere scientifico-regolatorio. In caso di domande contattateci a chemsafe@chemsafe-consulting.com

Today it is almost impossible to find someone who does not know, even roughly, what we refer to when we talk about Novel Foods. In the last years, there has been a boom in the discussion over the topic.

 

What has changed?

To better understand what is happening in the food industry, we need to start with what is considered a Novel Food and what is not. A new whole food (e.g. an apple), which has never been consumed in Europe and is imported from countries outside Europe, is a Novel Food. Insects, in the last years, have been an exceptional example of new whole foods.

However, this is a small part of what is considered Novel Food.

Under the umbrella of the definition of Novel Foods, there are food ingredients that are produced with new processes (innovation), that have a new compositional profile (e.g., new nutritional discoveries), or that come from a material never used before in the food industry (e.g., unique plant species).

If we think about the wideness of these three scenarios -there are many more- we can start to understand the high number of products that may fall into the definition of Novel food. Let’s think about new ingredients for Food supplements, for instance.

A few months ago, we talked about the difficulties the food sector has to face with the Novel Food Regulation; -and whether a food is a Novel food; today, we want to discuss the EU procedure to authorise a new food and which are the critical aspects.

 

Requirements for the technical dossier

To obtain authorisation for Novel Foods, an application – a technical dossier- must be presented to the European Commission (COM). The COM later passes on the dossier to the European Food Safety Authority (EFSA), which is in charge of scientifically assessing the new product. In order to do that, the submitted technical dossier must include all the necessary material (data, studies, specifications) and support the new product’s safety to allow a scientific evaluation by a competent Panel of the EFSA (European Food Safety Authority).

The technical dossier is composed roughly of 1) a part which describes the novel food, where the specifications are detailed; 2) a part describing the intended use (whole food, food ingredients, food supplement, dosages); 3) a part of scientific evidence (toxicological studies) to support the safety profile.

Integrating these three parts allows the Authority to issue a scientific opinion on the Novel Food. The COM, if the opinion concludes that there are grounds for considering the Novel Food safe in its use, authorise the Novel Food in the European Union, adding it to the Novel Food list.

 

Procedure and timing

The picture here shows the process the Novel Food must go through. Since 2021, however, with the introduction of the Transparency Regulation (EFSA talks about it here), we must consider a pre-submission phase before the submission of the dossier, which is done through the EFSA website. In this phase, each product is given a pre-application ID. The food business operator (or his representative) must notify studies and inform the Authority about the future application.

 

Chemsafe has been involved in Novel Food for four years and continues to do so in its Food Business Unit. Please do not hesitate to contact us at chemsafe@chemsafe-consulting.com for more information or to arrange a non-binding preliminary call.

Stato dell’arte delle valutazioni Europee per l’immissione in commercio degli insetti come Novel Foods:

Non abbiamo scoperto nessuna specie nuova, parliamo semplicemente di un nuovo alimento portato sulle nostre tavole europee.

Le autorizzazioni all’immissione in commercio di nuovi alimenti (o Novel Foods), come gli insetti, vengono concesse ai singoli produttori a seguito della presentazione di una domanda alla Commissione europea (CE), della valutazione della sicurezza da parte dell’EFSA e del voto favorevole espresso dagli Stati membri dell’UE (SM).

Con l’inizio del 2023, la Commissione europea ha autorizzato un nuovo insetti, la forma larvale di Alphitobius diaperionus (verme minore) per il consumo umano.

La Commissione ha anche dato il via libera alla vendita sul mercato della polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus (grillo domestico). .

Negli ultimi anni, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha ricevuto diverse richieste (una ventina, per essere precisi) che riguardano gli insetti che potrebbero essere autorizzati come Novel food da qui ai prossimi mesi (o anni).

Le richieste che sono già state ammesse tra il 2021 e il 2022 per quanto riguarda gli insetti le riassumiamo qui:

  • Nel gennaio del 2021, l’EFSA ha autorizzato l’uso della farina dal verme giallo (Tenebrio molitor larva) essiccato (1) – il Novel Food è il verme giallo della farina essiccato termicamente, sia come insetto essiccato intero che sotto forma di polvere
  • Nel luglio del 2021 arriva l’autorizzazione per l’uso come nuovo alimento della locusta migratrice (Locusta migratoria) essiccata e congelata (2) – il Novel Food è proposto in tre formulazioni (congelato senza zampe e senza ali, essiccato senza zampe e ali e, macinato con gambe e ali).
  • Nell’agosto del 2021 invece, vengono autorizzati congelati ed essiccati i grilli domestici (Acheta domesticus) (3) – il Novel food è proposto in tre formulazioni (congelato, essiccato e macinato) e vermi gialli (Tenebrio molitor larva) della farina (4) – il Novel food comprende le formulazioni congelate e liofilizzate del verme giallo della farina, intero o sotto forma di polvere
  • Nel maggio 2022 è stato rilasciato parere positivo per l’autorizzazione del grillo domestico (Acheta domesticus) parzialmente sgrassato (5) (il Novel food è proposto come polvere secca),

Sei domande sono attualmente sotto la valutazione dell’EFSA mentre le altre sono in fase di validità, il che significa che l’EFSA sta verificando se tale domanda può essere considerata completa e con questo pronta per essere valutata.

Non ci rimane che aspettare e vedere quale altro buon insetto ci verrà servito!

Fonti:

Se cinque anni fa alla parola <<Novel Food>> qualcuno rispondeva ancora con sguardo interrogativo, ora nel settore alimentare tutti sanno di cosa si sta parlando e di come questo possa voler dire, in qualche modo, “problemi”.  Solitamente l’operatore si trova messo con le spalle al muro dagli aspetti scientifico-regolatori della procedura Novel Food ma non sempre è tutto così difficile come sembra.

Chemsafe si muove nel campo con personale dedicato ai Novel Food da più di quattro anni: non siamo sempre e solo di fronte a problemi.

Diamo un po’ di spunti qui per chi ne vuole sapere di più e vediamo come possiamo tranquillizzare l’operatore.

Per capire se siamo di fronte ad un Novel Food, la domanda preliminare a cui dobbiamo rispondere è se il prodotto è già stato consumato come tale prima del 15 maggio 1997. Se non ci sono dubbi in merito a questo aspetto, la risposta sarà altrettanto immediata.

Se alla domanda preliminare non siamo così sicuri che la risposta sia un <<sì>>, come facciamo quindi a capire se è un Novel Food o no?

Il Regolamento 2283/2015 sui Novel Food descrive in maniera piuttosto puntuale le categorie di Novel Food nelle quali si può far ricadere il proprio prodotto. Se per quanto riguarda le culture cellulari non abbiamo dubbi nel riconoscere l’effettivo status di Novel Food, quando si tratta di estratti botanici, o ancora, di alimenti ottenuti attraverso processi nuovi, allora ecco che sorge qualche domanda in più.

Nel campo degli estratti botanici (o botanicals) la composizione e il processo produttivo sono i fattori che concorrono maggiormente alla determinazione dello status di Novel Food e che mettono più in difficoltà l’operatore. Si parla, per fare degli esempi di titolo di un principio attivo, di che cosa davvero si intende con “estratto tradizionale” o di quali siano considerati i “processi produttivi tradizionali”. La difficoltà nel reperire queste tipologie di informazioni mina largamente la conclusione di status di non-Novel Food e quindi fa scattare la procedura Novel Food come ovvia conseguenza.

In tema botanicals, non è detto tuttavia che questo sia l’esito di tutte le valutazioni, in quanto l’approfondimento con test analitici e composizionali aiuta l’operatore a districarsi da queste definizioni la maggior parte delle volte ed a salvarsi dalla procedura Novel Food.

Cosa ci aspetta invece se alla domanda preliminare abbiamo risposto <<no>> e quindi siamo di fronte sicuramente ad un Novel Food?

Il goal primario del regolatore che mette ha messo a punto la procedura Novel Food – approccio condiviso con i nuovi additivi, aromi ed enzimi – è la valutazione della sicurezza del prodotto e la salvaguardia della salute del consumatore.

L’Autorità (la Commissione Europea e, in un secondo step, l’agenzia della Sicurezza Alimentare – EFSA) richiedono la presentazione di un dossier tecnico dove vengono raccolte tutte le informazioni sul prodotto: i dati analitici, le specifiche, la descrizione del processo di produzione; i dati tossicologici a supporto della sicurezza per l’uomo, gli usi. La parte più consistente del dossier la compongono chiaramente i dati tossicologici, sia in termini di costi che di tempi ed expertise.

Tuttavia, non è strettamente necessario o richiesto condurre nuovi studi scientifici quando la composizione del Novel Food è dettagliata e la composizione non presenta nuove sostanze di allarme: la letteratura disponibile arriva in nostro aiuto molto più spesso di quello che si pensa. La valutazione tramite una gap-analisi è lo strumento di valutazione di tutti questi aspetti.

Vale la pena ripetere che ogni prodotto ha davvero necessità di una case-by-case analisi. È sorprendente vedere quanto in realtà tante situazioni si semplificano al primo approfondimento.

Uno dei veri problemi della procedura Novel Food sono le tempistiche, che facilmente raggiungono l’anno tra la presentazione del dossier e l’approvazione (quando i dati sono ritenuti sufficienti a difendere il profilo di sicurezza), aspetto da non sottovalutare per l’operatore del settore che, nel frattempo, non puoi rientrare dei costi.

 

Chemsafe lavora attivamente nel campo dei Novel Food, se volete discutere del vostro caso specifico, mandateci una mail se volete sapere di più: chemsafe@chemsafe-consulting.com.

Quando sentiamo parlare di nitrati e nitriti in ambito alimentare, sappiamo che stiamo parlando di additivi alimentari usati soprattutto come conservanti nei prodotti a base di carne (principalmente insaccati) e pesce.

Chimicamente il nitrato è un residuo inorganico composto da un atomo di azoto (N) e tre atomi di ossigeno (O): NO3. La formula chimica NO2 invece fa riferimento ai nitriti.

Nell’industria alimentare l’impiego di nitriti e nitrati ha lo scopo di conservare gli alimenti per impedire lo sviluppo di microorganismi patogeni potenzialmente molto pericolosi (es. Clostridium botulinum). Questi sono infatti registrati con i numeri E240 – E259 nella lista positiva degli additivi alimentari ammessi in Europa e quindi utilizzabili all’interno dei nostri alimenti.

In natura, i nitrati sono composti che si trovano in larga concentrazione nell’ambiente e nei terreni come fonte essenziale di azoto per la crescita delle piante. Sono infatti utilizzati largamente come fertilizzanti nelle coltivazioni in quanto necessari alla sopravvivenza della pianta. Va da sé che quindi questi possono essere presenti sulle nostre tavole negli ortaggi.

Seppure assolutamente innocui come tali per l’uomo, in particolari condizioni di temperatura e pH (o per la presenza di enzimi) i nitrati possono essere convertiti a nitriti e destare così qualche problematica in più per la salute umana.

Se sono ammessi negli alimenti perché dobbiamo preoccuparci, allora?
Facciamo chiarezza.

Il potenziale tossico dei nitriti deriva dalla loro capacità di legarsi alle molecole mostranti atomi di azoto (N) con le quali possono dare luogo a composti chiamati nitrosammine.

Le carni sono la categoria alimentare più colpita dalla tematica in quanto la formazione di nitrosammine è un processo che si sviluppa grazie all’alta presenza di proteine (molti atomi di azoto, delle carni appunto) sia per via delle condizioni di lunga conservazione (insaccati) sia per le cotture ad alte temperature che agevolano questo tipo di reazioni chimiche.

Le nitrosammine sono composti riconosciuti cancerogeni che, negli ultimi anni, stanno allarmando sia il mondo alimentare che quello farmaceutico (residui di nitrosamine come contaminanti degli API) e delle quali bisogna controllarne la presenza.

 

Il parere dell’autorità ad oggi:

Applicando il peggior scenario possibile (the worst case scenario), il gruppo scientifico di EFSA ha concluso che la formazione di nitrosammine nell’organismo, dovuta da nitriti aggiunti ai prodotti a base di carne nei livelli autorizzati, non presenta un problema rilevante per la salute umana. Risulta invece preoccupante la presenza di nitrito avvenuta tramite altre fonti (contaminazione ambientale per esempio) che può aiutare alla formazione di nitrosammine di cui livelli potrebbero essere origine a problemi di salute.

Visto che alcuni antiossidanti (come la Vitamina C ed i suoi derivati, l’ascorbato di sodio e di potassio) impediscono la formazione di nitrosammine da nitrati e nitriti, nell’industria alimentare vengono spesso usati abbinati.

 

Regolamentazione:

Il Regolamento (CE) 1333/2008 relativo agli additivi alimentari, stabilisce le dosi massime di nitriti e nitrati che si possano aggiungere come additivi alimentari in fase di fabbricazione come anche le dosi massime residue nei prodotti finali.

Già nel 2010., l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul cancro (IARC) ha classificato nitrati e nitriti come “probabili cancerogeni umani” (Gruppo 2A) ed è tornata sull’argomento nel 2018.

Nel 2017. l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha pubblicato due pareri scientifici sulla sua valutazione ex novo dei sali di sodio e potassio dei nitriti (E249 e E250) e dei nitrati (E251 e E252) aggiunti agli alimenti.

 

Dosaggio:

Il gruppo scientifico di EFSA ha ricavato per il nitrato una dose giornaliera ammissibile (DGA) di 3.7 mg/ kg pc/die stabilita sia da JECFA (Joint Expert Commitee on Food Additives) che da SCF (Scientific Committee on Food) in quanto non ritenuto genotossico né cancerogeno.

Per il nitrito invece, è stata calcolata una DGA di 0.07 mg/ kg pc/die (stessa stabilita dal JECFA e vicina al DGA calcolato dallo SCF di 0.06 mg/ kg pc/die).

 

Conclusione:

Nitrati e nitriti, come tutti gli altri additivi alimentari, se usati nelle dosi raccomandate, non sono pericolosi per la salute umana.

Per evitare alte esposizioni e formazione di nitrosammine nel corpo, sarebbe preferibile consumare moderatamente gli alimenti che contengono alto contenuto di nitrati (verdure a foglia d’inverno), evitare/limitare l’uso di concimi chimici nei propri orti, limitare o, meglio ancora evitare di cuocere ai ferri o arrostire la carne sotto sale, evitare di gratinare troppo affettati e formaggi.

La presenza di nitrosamine all’interno dei farmaci è tema molto più discusso di quello in ambito alimentare ed anche molto più regolato e soggetto a controlli. Chemsafe è solito eseguire Expert Report per il settore farmaceutico proprio per caratterizzare e valutare l’impatto di alcune -conosciute- nitrosammine nei prodotti farmaceutici. È possibile che il settore alimentare sia solo all’alba di un cambiamento in questi termini.

Regolamenti e Normative:

Gli integratori alimentari, seppur disciplinati da regolamenti e normative europee e nazionali verticali, cadono innanzitutto sotto l’ombrello del Regolamento quadro del settore alimentare, ossia il Regolamento No 178/2002: sono infatti considerati a tutti degli effetti dal regolatore come alimenti.

Un alimento, legislativamente, per farla semplice, è tutto ciò che è destinato ad essere ingerito diverso da mangimi, farmaci, tabacco, animali vivi, vegetali appena raccolti, cosmetici, sostanze stupefacenti, residui e contaminanti -per i quali esistono altri framework lavorativi.

In maniera verticale, la Direttiva 2002/46/CE e il Decreto legislativo del 21 maggio 2004, n. 169,  definiscono, in Europa ed in Italia, rispettivamente, gli integratori alimentari come “prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”

Le sostanze armonizzate permesse negli integratori sono notoriamente vitamine e minerali. A livello Europeo, l’uso di vitamine e minerali è attentamente regolamentato da liste positive disponibili nel Regolamento No 1925/2004 come Allegati I e II. Le forme di vitamine e minerali ammesse vengono periodicamente aggiornate, successivamente ad un parere di EFSA. Nonostante l’armonizzazione sia disciplinata a livello Europeo, ogni Stato membro ha la possibilità di definire i propri livelli e, di fatto, viene meno l’armonizzazione. In Italia, gli apporti massimi per le vitamine e i minerali sono fissati dal Ministero della Salute ai sensi dell’art. 5 del Decreto Legislativo 169/2004 (già menzionato in apertura).

Insieme a vitamine e minerali, come logico che sia, altre sostanze possono essere aggiunte agli integratori. Troviamo ad esempio in questo campo gli estratti botanici -o botanicals. Le quantità di queste sostanze non sono armonizzate a livello europeo e non esiste una lista positiva per esse. L’unica lista positiva di sostanze ammesse nel settore alimentare è attualmente l’Union List dei Novel Food che però raccoglie unicamente i nuovi ingredienti e non quelli con un uso consolidato. Per questa mancata armonizzazione, la procedura di immissione in commercio degli integratori è ancora in carico al singolo Stato Membro che controlla sul proprio territorio nazionale gli integratori in commercio.

 

La procedura di notifica in Italia:

In Italia, l’immissione sul mercato di integratori prevede una notifica al Ministero della Salute che, in forma di tacito assenso, ne autorizza la libera vendita.

L’Operatore del Settore Alimentare (OSA) è richiamato a registrarsi sul portale imprese e sottomettere un fascicolo tecnico riportante le informazioni sul prodotto che intende vendere e pagare una tassa di euro 160,20.

La richiesta deve essere sottomessa on line al link http://www.impresainungiorno.gov.it/.

 

Contenuti della notifica:

In maniera molto riassuntiva i contenuti della notifica sono riassunti qui di seguito.

  • Dati dell’OSA
  • Informazioni relative al prodotto da notificare:
    • Stabilimento di produzione
    • Composizione, forma di presentazione/formato/gusti, se applicabile
    • Dose giornaliera, se applicabile
    • Elenco ingredienti
    • Quantità degli ingredienti, quando previsto dalla normativa vigente
    • Nome preciso dell’ingrediente ai sensi dell’art.17 del reg. 1169/2011
    • Presenza in etichetta delle indicazioni obbligatorie previste dalla normativa specifica (Dir. 2002/46/CE; DL 169/2004)
    • Presenza in etichetta di indicazioni volontarie ai sensi del Reg. 1924/2006
  • Una copia dell’etichetta conforme a quella usata per la commercializzazione in formato
  • Bollettino o bonifico attestante il versamento dei diritti spettanti al Ministero della Salute

Fonte: https://www.salute.gov.it/portale/moduliServizi/dettaglioSchedaModuliServizi.jsp?lingua=italiano&label=servizionline&idMat=APINF&idAmb=IA&idSrv=FSNN&flag=P

 

A chi rivolgersi:

La parte più consistente del contenuto da presentare all’interno del fascicolo tecnico è relativa alle informazioni del prodotto. Solitamente la stesura del fascicolo tecnico prevede una valutazione degli ingredienti e del prodotto come venduto, sia da un punto di vista legale (compliance con i regolamenti e liste positive delle sostanze ammesse) sia da un punto di vista della sicurezza verso il consumatore. Solitamente Chemsafe si occupa di redigere questa parte del fascicolo tecnico sulla base delle competenze tossicologiche e di product safety.

Il diossido di carbonio, conosciuto anche come biossido di carbonio o anidride carbonica (CO2), è un gas naturale abbondante nell’atmosfera e di cui tutti siamo a conoscenza. La sua elevata concentrazione atmosferica, come prodotto di scarico dei processi industriali -ma non solo- viene ritenuto essere il motivo portante del repentino cambiamento climatico. Insomma, ce n’è decisamente troppa!

Seppur paradossale però, il momento che sta vivendo il settore alimentare, di mancanza di anidride carbonica, è tutt’altro che scontato. Verrebbe da chiedersi: perché non possiamo usare anidride carbonica atmosferica che è in esubero e destinarla al settore alimentare?

Sarebbe troppo bello… e risolveremmo molti problemi in uno!

Ma partiamo dall’inizio.

 

Utilizzo:

Quando si parla di CO2 si pensa subito alle bollicine nell’acqua frizzante o bibite gassate. Invece, l’uso di CO2 è molto di più. Ci sono tre tipi di applicazioni dei gas alimentari:

  • Additivi – Gas di imballaggio (MAP – modified atmosphere packaging) dove viene usato per mantenere la freschezza dei prodotti confezionati per tutta la loro durata prevista
  • Supporti (coadiuvanti tecnologici) – CO2 per surgelazione dove permette di mantenere le proprietà organolettiche e di freschezza nel tempo. Si applica come la glassatura, nei processi di lavorazione del pesce e dei prodotti ittici o come crusting, una procedura con la quale si ottiene una surgelazione superficiale del prodotto.
  • Ingrediente – CO2 per “soft drink”

Inoltre, l’anidride carbonica viene utilizzata come gas anestetizzante nei macelli, per la conservazione di frutta e verdura, viene aggiunta a carne, latticini, prodotti dolciari per ritardare la presenza di batteri e muffe, è un gas utilizzato nel processo di depurazione delle acque.

 

Produzione:

Tra le vie di produzione dell’anidride carbonica troviamo la produzione da batteri aerobici durante il processo di fermentazione alcolica, dal nostro corpo durante la fermentazione degli zuccheri, come sottoprodotto della respirazione sia di animali (e uomo) che -in parte- del regno vegetale senza contare il contributo dell’attività industriale dell’uomo.

Perché data la grande produzione, l’industria alimentare non può prelevarne un po’ e riutilizzarla? Semplicemente il costo della sua “pulizia”, fino ad oggi, è troppo alto. Ci conviene di più produrla come un sottoprodotto di vari processi industriali dove si ritrova ad essere un elemento di scarto. Nella pratica industrie, l’anidride carbonica è il risultato della combustione di un composto organico in presenza di una quantità di ossigeno sufficiente a completarne l’ossidazione.

Perché siamo in un periodo di carenza di anidride carbonica alimentare?

Come in tutte le altre produzioni, anche questa è una reazione a catena. Molte aziende usano il metano per la sua produzione, il quale prezzo è aumentato vertiginosamente in confronto al prezzo dell’anidride carbonica che invece è rimasto basso. Non essendo economicamente vantaggioso continuare con la produzione, molte aziende l’hanno o ridotta o fermata e con questo diminuito o fermato la produzione del gas CO2. Non producendolo più, la sua riserva diminuisce e automaticamente rallenta o ferma l’industria alimentare.

 

Regolamentazione:

Il diossido di carbonio, CO2 è soggetto a specifica regolamentazione quando viene utilizzato come:

  • Additivo alimentare, coadiuvante tecnologico o ingrediente negli alimenti
  • Oppure come Dispositivo Medico

Normative alimentari che riguardano l’anidride carbonica sono:

  • Regolamento (CE) 178/2002 sulla tracciabilità che definisce “alimento” come qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani.
  • Regolamento (CE) 1333/2008 relativo agli additivi alimentari
  • Regolamento (UE) 231/2012 che stabilisce le specifiche di purezza degli additivi alimentari elencati negli allegati del Regolamento (CE) 1333/2008
  • Regolamento (CE) 852/2004 sull’ igiene e sicurezza che stabilisce i requisiti igienici necessari per produrre alimenti (incluso HACCP)
  • Regolamento (CE) 1935/2004 che si applica a tutti i materiali che possono venire a contatto con gli alimenti (MOCA)
  • Regolamento (CE) 882/2004 di controlli ufficiali e sanzioni (in Italia è stato pubblicato il D.Lgs. 194/2008 che stabilisce le tariffe dovute in base al fatto che siamo depositi alimentari)
  • Decreto del Presidente della Repubblica n. 514 del 1997 sulle autorizzazioni – Regolamento recante disciplina del procedimento di autorizzazione alla produzione, commercializzazione e deposito di additivi alimentari, a norma dell’articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59

Regolamento (CE) 1333/2008 esclude dal suo ambito di applicazione i coadiuvanti tecnologici e definisce i requisiti di etichettatura. Nell’Allegato I dello stesso Regolamento vengono nominate le categorie funzionali di additivi alimentari negli alimenti, negli additivi alimentari e negli enzimi alimentari, tra cui anche due dei gas alimentari:

* gli agenti schiumogeni – sostanze che rendono possibile l’ottenimento di una dispersione omogenea di una fase gassosa di un prodotto alimentare liquido o solido; e

* i gas d’imballaggio – gas differenti dall’aria introdotti in un contenitore pima, durante o dopo aver introdotto in tale contenitore un prodotto alimentare.

 

Data la diffusione dell’anidride carbonica, vi è il rischio che la sua assenza abbia un impatto significativo sull’intero settore alimentare. Gli ultimi due anni sono stati difficili per l’industria in generale ma, nonostante tutto cerchiamo di pensare positivo e vedere ciò che sta accadendo come una nuova sfida da vincere.

Le buone pratiche di fabbricazione (GMP) sono un insieme di regole e linee guida a cui ogni azienda deve attenersi per garantire che i suoi prodotti siano fabbricati secondo specifici standard di qualità in modo da ridurre al minimo i rischi associati al consumo di prodotti non efficaci o, addirittura, pericolosi per i consumatori a causa di un’inadeguata sicurezza e qualità. Sono anche chiamate “cGMP” dove la “c” sta per “corrente” e ricorda ai produttori che devono impiegare tecnologie e sistemi aggiornati per conformarsi alla normativa.

Sebbene le GMP siano utilizzate principalmente nell’industria farmaceutica (dove sono obbligatorie), si applicano anche nella produzione alimentare, prodotti cosmetici, e dispositivi medici.

Le GMP coprono ogni aspetto di ogni processo di produzione per prevenire i rischi che potrebbero svilupparsi in qualsiasi punto della catena di approvvigionamento o dell’ambiente di produzione. Il loro obbiettivo è mantenere l’integrità dei prodotti con solide procedure operative, garantendo il rispetto degli standard più elevati in ogni fase, dal test e dallo sviluppo allo stoccaggio.

Seguendo le GMP, i professionisti dei vari settori possono aspettarsi di attenuare la contaminazione, i fallimenti dei test, i problemi causati da fattori ambientali e le deviazioni potenzialmente dannose. Seguire le GMP aiuta a promuovere la qualità garantendo prodotti sicuri per la distribuzione di massa. Ciò aumenta la probabilità che i prodotti siano privi di sostanze pericolose o contaminanti che potrebbero causare danni ai consumatori.

Esistono molti requisiti vincolanti delle attuali GMP, tra cui:

  • Qualificazione dei dipendenti che producono, trasformano, confezionano o detengono alimenti per svolgere i compiti assegnati
  • Istruzione, formazione e/o esperienza necessaria per i dipendenti per garantire che gli alimenti che producono, trasformano, confezionano o detengono siano puliti e sicuri, compresa la formazione sui principi di igiene alimentare e sicurezza alimentare
  • GMP per affrontare il contatto incrociato di allergeni
  • GMP per la detenzione e la distribuzione di sottoprodotti alimentari umani utilizzati per alimenti per animali

Le GMP negli stabilimenti dell’industria alimentare dovrebbero concentrarsi sulle cinque categorie principali:

  1. Le persone – Le persone sono fondamento di qualsiasi programma GMP forte. Se le persone nello stabilimento (e quelle con ruoli manageriali) non sono adeguatamente formate, non ci si può aspettare che implementino processi e procedure in modo efficace. Pertanto, le aziende alimentari devono investire nella formazione, in modo che i dipendenti conoscano gli standard di controllo qualità GMP e come eseguirli. I metodi di formazione dovrebbero essere valutati e rivalutati regolarmente.

 

  1. Locali – Avere un ambiente pulito e sicuro è essenziale nella produzione alimentare, dove i prodotti entrano regolarmente in contatto con le superfici. I locali dovrebbero essere progettati in modo da consentire una pulizia efficace e un rischio ridotto di contaminazione incrociata.

Nell’industria alimentare, il termine “locali” si riferisce anche alle attrezzature. Tutte le macchine devono essere convalidate e calibrate e devono essere presenti procedure, programmi e registrazioni per la pulizia e la manutenzione.

 

  1. Processi/ documenti – I processi GMP fanno riferimento alla documentazione che dimostra il rispetto delle procedure. I revisori utilizzeranno questa documentazione per controllare le strutture e garantire che le procedure GMP vengano eseguite in modo efficace. Pertanto, una documentazione completa può avvantaggiare i produttori di alimenti, anche se certamente non deve significare tenere raccoglitori, quaderni o altri documenti scritti a mano. In effetti, la digitalizzazione delle GMP con il software di gestione dell’impianto può semplificare l’approccio garantendo a tutti i dipendenti l’accesso ai programmi preoperatori e di sanificazione a portata di mano, le approvazioni dei record possono essere completate facilmente in un’unica comoda piattaforma e i controlli di sicurezza alimentare possono essere effettuato e rivisto per un’accurata tenuta dei registri.

 

  1. Prodotti e materie prime – Tra gli aspetti più importanti della produzione alimentare ci sono i prodotti e le materie prime. I prodotti si riferiscono ai beni finali venduti ai clienti, come rivenditori e ristoranti, che alla fine raggiungeranno il consumatore. Le materie prime, invece, sono ingredienti grezzi o semilavorati. Se le materie prime non venissero adeguatamente ispezionate prima di entrare in produzione, i prodotti pericolosi potrebbero finire sul mercato. Le GMP devono quindi incorporare tattiche di qualità per monitorare e affrontare le deviazioni nei materiali in entrata.

 

  1. Procedure – Le procedure stesse devono essere analizzate da vicino, aggiornate regolarmente e attuate in modo efficace. Devono anche essere ben documentati in modo che se si verifica un problema, può essere rapidamente e facilmente ricondotto al corso attraverso misure come l’analisi della causa principale.

 

Quali sono componenti chiave delle GMP?

I principi delle GMP negli stabilimenti dell’industria alimentare possono essere suddivisi in dieci componenti chiave:

  1. Scrivere procedure dettagliate, step-by-step – Il primo passo delle GMP è stabilire per iscritto procedure operative standard (SOP) dettagliate, step-by-step. Le procedure scritte consentono di stabilire standard sul posto di lavoro e garantire che le attività vengano eseguite ogni volta nello stesso modo.
  2. Seguire le procedure stabilite – Le SOP scritte sono efficaci solo quanto le persone che le eseguono. A tal fine, è importante che i dipendenti sappiano di non prendere scorciatoie, apportare modifiche o deviare in alcun modo dalle istruzioni scritte. Anche in questo caso, l’obiettivo è quello di ottenere un prodotto coerente e di alta qualità.
  3. Documentare tutto – Una documentazione tempestiva e accurata promuove la conformità normativa e garantisce inoltre che eventuali problemi possano essere ricondotti alla fonte. Un’accurata registrazione dei dati fornisce anche un modo per valutare i problemi per evitare che si ripetano. Inoltre, le registrazioni sono necessarie per gli audit, quindi disporre di un sistema di documentazione efficace garantisce che tutte le registrazioni necessarie siano facilmente accessibili.
  4. Convalidare le SOP e le specifiche – Per assicurarsi che le SOP funzionino come dovrebbero, bisogna convalidare i propri processi. Ciò si ottiene anche attraverso la documentazione di routine e l’esatta osservanza di procedure scritte. Se si eseguono in modo coerente, queste attività garantiscono un output di qualità e coerente.
  5. Integrare la qualità e la sicurezza nelle apparecchiature e nelle strutture – Produttività, qualità e sicurezza dovrebbero essere incorporate nella progettazione e costruzione di impianti e attrezzature per la produzione alimentare. Ciò privilegia la qualità e la coerenza in ogni fase di lavorazione.
  6. Mantenere le attrezzature e le strutture – È necessario eseguire in modo coerente una serie di attività di manutenzione su apparecchiature e strutture. Le registrazioni devono essere conservate per eseguire il backup del lavoro svolto. Ciò riduce i problemi di sicurezza e diminuisce i problemi di controllo della qualità.
  7. Stabilire, sviluppare e dimostrare la competenza sul lavoro – La competenza lavorativa dovrebbe essere dimostrata da ogni membro del gruppo. GMP richiede che i dipendenti siano completamente competenti nei loro ruoli. La competenza può significare cose diverse per persone diverse. Per questo motivo, la competenza dovrebbe essere definita per ogni ruolo in modo che i dipendenti sappiano esattamente cosa ci si aspetta da loro.
  8. Garantire la pulizia – Proteggere i prodotti dalla contaminazione rendendo gli sforzi di sanificazione attività di routine. Prodotti diversi richiederanno specifici gradi di pulizia, quindi delineare i passaggi necessari e implementare i controlli per ciascuna zona della struttura.
  9. Costruire la qualità nel prodotto – Il controllo sistematico della qualità dei componenti e dei processi dovrebbe essere implementato in ogni fase della produzione, dall’imballaggio e dall’etichettatura a qualsiasi processo di cottura o manipolazione. Impostare controlli chiaramente definiti e mantenere registrazioni chiare per garantire che la qualità sia coerente. Si possono persino automatizzare alcuni aspetti del programma di controllo della qualità con tattiche come il controllo statistico del processo in tempo reale (SPC) che può aiutare a identificare e correggere rapidamente le non conformità con l’acquisizione dei dati in tempo reale e la verifica delle specifiche.
  • Condurre audit – Sebbene si possano eseguire controlli nella struttura per verificare che le GMP funzionino in modo efficace, avere un nuovo paio di occhi può scoprire inefficienze o altre aree di opportunità che le parti interne potrebbero aver trascurato. Gli audit sono quindi un aspetto essenziale sia del successo delle GMP che della conformità normativa.

 

Per concludere

Stabilire, implementare ed eseguire regolarmente le GMP è un’impresa impegnativa. Tuttavia, è una delle cose più importanti che qualsiasi struttura di alimenti e bevande può mettere in pratica per garantire prodotti sicuri, coerenti e conformi.

Nel settore alimentare i principi HACCP (Hazard analysis and critical control points) e il sistema di Autocontrollo sono obblighi che l’operatore del settore alimentare deve mettere in pratica, per assicurare la sicurezza dei suoi prodotti, che già richiamo molto concettualmente alcune delle disposizioni GMP. In luce di queste disposizioni, le GMP andrebbero a solidificare ulteriormente tutto ciò che è l’indotto del mercato alimentare. Aderendo ai cinque componenti e ai dieci principi delle GMP sopra delineati, si possa garantire che ogni aspetto del processo di produzione sia progettato per mitigare gli eventi di sicurezza alimentare.

Nell’indotto alimentare, le GMP vengono menzionate ed applicate alla produzione dei MOCA (Materiali ed oggetti a contatto con gli Alimenti). Mentre, una branca interessata a questo tema sono gli integratori alimentari, per i quali si inizia mormorare l’applicabilità delle GMP.

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Negli ultimi anni i composti che vanno sotto il nome di ftalati entrati a far parte delle sostanze di maggior attenzione sia per i consumatori che per le autorità, attenzione principalmente smossa dalla presenza di questi composti negli alimenti.

Qui di seguito una piccola panoramica dei punti salienti.

Gli ftalati sono una classe di composti chimici organici, derivanti dal petrolio, utilizzati come agenti plastificanti, ossia impiegati per consentire al materiale plastico (nella maggioranza dei casi PVC) di essere flessibile e elastico. Industrialmente, gli ftalati sono i plastificanti maggiormente impiegati. Dal punto di vista fisico questi si trovano in forma liquida e hanno l’aspetto di un olio; sono incolori ed inodori.

La struttura chimica che li accomuna è quella di un anello aromatico e due esteri. Il nome ftalati deriva dalla struttura dell’acido ftalico, portante due gruppi carbossilici legati all’anello aromatico dalla quale derivano tutti gli altri.

La lunghezza delle catene laterali si traduce industrialmente in un impiego differente così come anche la tossicità di questi composti sembra essere correlata alla lunghezza delle catene; per semplificare catene lunghe sono associate ad un ridotto grado di tossicità rispetto alle catene corte.

Tra gli ftalati più conosciuti abbiamo il DINP (Di-isononilftalato) , il DIDP (Di-isodecilftalato) e il DPHP (Bis(2-etilesil)ftalato) che occupano la fetta più larga degli ftalati impiegai in Europa.

 

Ma dove li troviamo quindi nella nostra quotidianità?

Li troviamo in tutti i materiali plastici che necessitano una certa flessibilità come tubi, cavi, pellicole, teloni, rivestimenti di vario tipo ma anche in prodotti dove vengono impiegati come lubrificanti senza grasso, agenti antischiuma, solventi, come smalti, spray per i capelli ed altri cosmetici e profumi e anche in formulazioni per l’agricoltura, come i pesticidi. Nel campo farmaceutico anche alcuni dispositivi medici, sacche o flebo possono contenere ftalati, sempre per lo stesso motivo tecnologico.

Si può quindi comprendere immediatamente l’onnipresenza di questi composti nella nostra vita quotidiana e la quantità di ftalati a cui il consumatore può essere esposto. Le vie di esposizione agli ftalati si possono riassumere in: per ingestione (alimenti), inalazione (aria degli spazi interni; rivestimenti di mobilio), dermico (per contatto diretto con la pelle nell’utilizzo di materiale contente ftalati).

 

Come finiscono negli alimenti?

Nella produzione delle plastiche, molte di queste hanno fini alimentari come imballaggi, o packaging, ma anche come banali utensili da cucina o rivestimenti di macchinari che processano gli alimenti, senza considerare ovviamente a tutte le tubature del trasporto dell’acqua potabile. Dal punto di vista regolatorio questi materiali cadono sotto la denominazione di Food Contact Materials (o FCM) o Materiali ed Oggetti a Contatto con gli Alimenti (o MOCA)*. Quando gli ftalati vengono impiegati nelle plastiche rimangono all’interno del materiale e sono in un secondo momento facilmente estraibili da agenti grassi o liquidi o per semplice erosione meccanica del materiale, finendo inevitabilmente nel cibo e quindi ingeriti dal consumatore. L’esposizione di questi composti attraverso gli alimenti pare essere la via di assorbimento principale: i cibi processati e ultra-imballati sono maggiormente responsabili di questa esposizione rispetto a quelli non processati o sciolti.  Il fenomeno di passaggio degli ftalati verso gli alimenti viene definito migrazione. 

 

Il profilo tossicologico

La tossicità, per quanto riguarda gli ftalati, è legata agli effetti a lungo termine che questi sembrano avere sull’apparato riproduttore umano e non relativi ad una tossicità di tipo acuto.

Alcuni di questi sono stati già classificati “tossici per la riproduzione”: da studi su animali è stato riscontrato come l’esposizione ad essi abbia una correlazione con effetti sulla fertilità maschile (sterilità) e che siano responsabili di una produzione ridotta di spermatozoi. Non ci sono tuttavia studi sull’uomo che confermino questa stretta correlazione causa-effetto, anche per la difficoltà di perimetrare e relazionare questo effetto unicamente agli ftalati. Resta però l’allerta che queste sostanze siano degli “interferenti endocrini” -ossia che hanno una qualche interazione con il sistema ormonale umano- e pertanto da trattare con molta attenzione.

Come anticipato, alcuni ftalati sono di maggior preoccupazione di altri, principalmente vengono considerati più dannosi quelli a catena corta (il DEHP è quello di maggior allarme e il più presente negli alimenti) i quali stanno venendo sostituiti a livello industriale da quelli a catena più lunga (es. DiNP e DiDP).

Nel campo alimentare, l’EFSA, l’Agenzia della Sicurezza Alimentare, ha valutato 5 ftalati presenti negli alimenti e di maggiore preoccupazione: Di-butilftalato (DBP) – FCM n. 157, Butil-benzil-ftalato (BBP) – FCM n. 159, Bis(2-etilesil) ftalato (DEHP) – FCM n. 283, Di-isononilftalato (DINP) – FCM n. 728, Di-isodecilftalato (DIDP) – FCM n. 72; il parere rilasciato conclude che i quantitativi a cui ad oggi il consumatore è esposto sono al di sotto della soglia considerata di rischio.

Data l’allerta di questi composti, in Europa alcuni di questi sono vietati nei prodotti destinati ai bambini, dai giocattoli ai materiali a contatto con gli alimenti. In diversi paesi dell’Unione e no, alcune categorie di prodotti vedono restrizioni per particolari ftalati (es. cosmetici in Svizzera).

Sebbene nel nostro continente la problematica abbia portato a restrizioni e limitazioni per l’impiego di queste sostanze nei prodotti destinati al contatto con il cibo, la Food and Drug Administration (FDA), negli Stati Uniti, non ha ancora investigato la sicurezza degli alimenti in termini di ftalati e soprattutto non ha posto soglie legali entro le quali gli ftalati devono trovarsi all’interno dei materiali a contatto con gli alimenti. Alcuni studi (1, 2) condotti dalle università sul territorio statunitense hanno evidenziato risultati preoccupanti di accumulo di ftalati, soprattutto nei consumatori che frequentano fast foods in quantità maggiore.

 

* per completezza, gli impianti per il trasporto dell’acqua potabile non vengono considerate MOCA secondo Reg. 1935/2004.

Reference:

https://www.efsa.europa.eu/it/news/faq-phthalates-plastic-food-contact-materials

https://www.bag.admin.ch/dam/bag/it/dokumente/chem/themen-a-z/factsheet-phthalate.pdf.download.pdf/factsheet-phthalate_it.pdf

https://www.nature.com/articles/s41370-021-00392-8

https://ehp.niehs.nih.gov/doi/10.1289/ehp.1510803

 

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In 1979, on the proposal of the European Council, “The rapid alert system for food and feed” (RASFF) was conceived and launched. It was officially established with Regulation (EC) no. 178/2002 laying down the general principles and requirements of food law, establishing the European Food Safety Authority and laying down procedures in food safety matters. In 2016, the RASFF brought together the food safety authorities of the member states of the European Union, Norway, Liechtenstein, Iceland and Switzerland (EFTA), and the European Commission, EFSA.

It is defined as an alert system in the form of a network, for the notification of a direct or indirect risk to human health from food or feed, according to Article 50 of Regulation (EC) no. 178/2002. Over the years, it has been extended to the risks associated with materials and objects intended to come into contact with food – FCM (respectively with Regulation (EC) No. 1935/2004) and feed for pets – pet food (Regulation (EC) No. 183/2005).

The system collects and publishes notifications and alarms within Europe relating to health risks in a short time, specifying the notifying country, the type and reasons for the notice, and the country of origin of the product. Trademarks and company names are not disclosed, seeking a balance between public information and the protection of commercial interests. The data is communicated and shared among the members of the network in real-time through the i-RASFF online platform implemented by the IMSOC system.

The IMSOC system complements the existing IT systems managed by the Commission and it is used for official controls as well. It is used to exchange data, information rapidly, and documents concerning the risks to human health, animal health and welfare and plant health.

Following the ascertainment, and sometimes even the suspicion, of a non-compliance at the border of the Union or within the Union, the competent authorities activate the RASFF notification system.

When non-conformities are associated with risk (serious, not serious or undecided) to human, animal or environmental health, the alert system’s notifications are:

  • alert (A notification of a risk that requires rapid action. The product subject to an alert must be withdrawn or recalled from the market)
  • information for follow-up
  • information for attention
  • border rejection (A notification about a product that was refused entry into the market for reasons relating to a serious risk to human health. Food can also be subject to information for attention or information for follow-up. These are both notifications that do not require rapid action either because the risk is not considered serious, or the product is not on the market at the moment of the notification.)
  • news

Alert and border rejection are the notifications that have a strong impact on public health.

The RASFF portal provides various information on products such as *The classification of the notifications, * The date of the case, * The notifying country, * The subject, * The product category, * The product type, * The risk decision.

If other details are needed, it is possible to extract information on: * The action taken, * The distribution status, * The hazard, * The category, * The analytical result, * The sampling date.

The benefits of the information provided through RASFF are especially relevant for:

*Importers: RASFF allows them to take advantage of the information about global imports/exports and thus prevent future detentions; and

*Consumers: RASFF ensures consumers the security of traceability and provides them information about the most frequent risks.

If the product subject to notification is still available on the market, it is necessary to activate the withdrawal and recall measures as required by Regulation (EC) 178/2002.